Il cuore di Metodo Fisio@RT parte 1: libero dal dolore con l’auto-monitoraggio. Dal fallimento totale ad un metodo.

Il cuore di Metodo Fisio@RT parte 1: libero dal dolore con l’auto-monitoraggio. Dal fallimento totale ad un metodo.

10 Settembre 2019 Metodo Fisio@RT Senza categoria 0

Oramai sono circa 3 mesi che lo ripeto a tutti i pazienti con dolore cronico:

“Monitorare è la chiave di volta per la risoluzione del dolore, senza diario clinico, grafici e monitoraggio delle variabili non si va da nessuna parte”

Quando si intraprende un percorso terapeutico lo si fa con le migliori intenzioni e con grande motivazione: l’amica o il cugino ci ha consigliato Fisio@RT perchè ha già risolto il suo disturbo e quindi ci si aspetta un miglioramento pressoché istantaneo con la particolare manovra di Raffaele Tafanelli.

Ed è qui che di solito iniziano una marea di grattacapi per me che, fino a non molto tempo fa, non pensavo di trovarmi di fronte a così tanti casi di dolore cronico in cerca di miracoli.

Ho quindi dovuto creare uno specifico percorso di miglioramento, per ridurre significativamente i disturbi di tutti quei pazienti scartati da tutti, etichettati come “difficili”, “psicosomatici”, “non trattabili” e un altro milione di etichette per dirgli che si devono accontentare e convivere col dolore, sopportare, stare in silenzio e soffrire…

Ero stufo di questa situazione, perchè il paziente non mente mai, se dice di avere dolore non finge  e non sopportavo più che i pazienti venissero presi per i fondelli da gente senza scrupoli. Non si può dare la colpa della mancata risoluzione dei sintomi a presunti problemi mentali del paziente: troppo facile!!!

D’altra parte le difficoltà nell’approcciare i pazienti che avevano dolore da mesi, se non da anni era una sfida ostica, perchè la loro motivazione si abbassava sempre. In pratica si aspettavano il miracolo in 3 sedute e a ben poco serviva spiegargli che la risoluzione sarebbe stata più lunga, mi guardavano pensando:

” Sì sì Raffaele non mi frega niente di quello che dici sul mio disturbo, la mia amica mi ha detto che sei bravo e voglio provare per avere gli stessi benefici sperimentati da lei”

Non si rendevano spesso conto che l’amica, l’amico o il cugino non soffrivano di dolore cronico (al contrario loro) e a nulla servivano le spiegazioni, perchè la loro fiducia in me (il bravo ragazzo sincero) era incrollabile.

Mi sono reso conto ben presto che il problema della risoluzione non fosse legato certo alla fiducia, i miei pazienti avrebbero potuto correre a piedi nudi sui carboni ardenti “sulla fiducia”, se solo glielo avessi chiesto.

Da subito ho capito che era un problema di motivazione.

La motivazione crollava subito già dopo 4 sedute, nonostante ci fossero miglioramenti sorprendenti (trattandosi di dolore cronico).

Sì, appunto, motivazione era la parola magica. La motivazione ti spinge ad agire (come dice la parola stessa) nella direzione del miglioramento. Sì, ma mica potevo motivarli facendoli saltare sulle sedie (come si fa ancora in qualche azienda di esauriti) o facendogli cantare la canzoncina o facendogli sniffare qualche polverina eccitante come fa Leonardo Di Caprio in “The wolf of Wall Street”.

Ben presto avevo capito che avrei dovuto tagliare la testa al serpente che si mordeva la sua stessa coda, nel senso che:

la stessa motivazione che sembrava un vantaggio iniziale, rappresentava il limite dei miglioramenti dei pazienti, quando crollava crollava e arrivederci programma riabilitativo e buone intenzioni, il paziente usciva dallo studio deluso e arrivederci, il suo dolore rimaneva dov’era e la delusione mia era superiore a quella dello stesso paziente.

La stessa motivazione che faceva intraprendere il percorso, era poi un ostacolo insormontabile quando veniva a mancare ed ero arrivato al punto di rifiutare categoricamente tutti i pazienti con dolore cronico, a prescindere da quanto sembrassero motivati (dannata motivazione) ad intraprendere il percorso. Perchè si sa che il paziente poi parla male in giro del professionista che non ha risolto il suo disturbo….

Poi però, quando mi ero rassegnato a non poter combattere contro il dolore cronico …

Stavo leggendo una rivista, in cui si parlava del follow-up a 5 anni dei pazienti operati per tumore del colon. In pratica per follow-up (in Medicina oncologica) si intendono quelle procedure attuate per monitorare segni della malattia ancora presente. Quindi il paziente viene sottoposto ad esami del sangue, visite, terapie preventive e altro per sconfiggere definitivamente il tumore. E’ davvero dura la vita dopo un tumore, ma c’era un concetto che mi ha fatto sperare di nuovo, in una soluzione al dolore cronico. I miei occhi si sono illuminati:

“Il follow-up “

Quello che mi serviva era un seguito alle sedute in studio, un diario,un monitoraggio costante, il follow-up appunto che fosse semplice e che indicasse al tempo stesso:

  1. la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo che ci si era prefissati,
  2. i sintomi, la loro localizzazione, le abitudini e le attività inusuali.
  3. il grafico mensile della situazione, che il paziente potesse tenere sempre con sé per monitorare i suoi miglioramenti.

I primi 2 punti sono stati semplici da conseguire, bastava un diario clinico dei sintomi, ma quello che non mi era chiaro (e che mi è stato chiaro in seguito) era come monitorare il tutto: troppe abitudini, troppe attività, troppi sintomi. 

Non ci capivo un accidenti.

Poi un giorno…

Una paziente con mal di schiena cronico mi venne in studio col diario ben compilato. Conteneva le ore giornaliere di sonno e le opinioni sulla qualità del sonno, il dolore percepito sulla scala N.R.S, le ore di esercizio settimanali e le attività insolite che metteva in correlazione al dolore.

Lei si sentiva migliorata grazie all’auto-monitoraggio, ma non capivo come potessi quantificare il miglioramento, poi mi venne un’idea pensando alle pagelle scolastiche e alla finanza….

Così mi feci lasciare il diario e iniziai a tracciare dei grafici settimanali dell’andamento, come quelli che si costruiscono per osservare i titoli di borsa, e dopo 2-3 grafici messi giù iniziai a saltare dalla gioia nello studio. Correvo su e giù per lo studio come un folle, per la felicità…

In pratica sapevo con certezza che in un solo mese il suo dolore percepito era migliorato del 30%, ma avevo anche altri dati che confermavano il miglioramento:

Sonno e qualità dell’esercizio, ore di esercizio fisico, dolore percepito e tanti altri dati estrapolati e messi su grafici commentati.

Nella seduta successiva ho mostrato sulla lavagna i risultati dell’impegno della compilazione del suo diario clinico alla paziente che era entusiasta, abbiamo commentato insieme i grafici e abbiamo sviluppato quindi un piano strategico per continuare il percorso intrapreso; poi l’ho invitata a fare una foto dei grafici per farle avere un’idea nitida del punto in cui era partita e dove era arrivata grazie al suo impegno.

La motivazione così non svaniva più perché si aveva sotto mano la pagella dei propri miglioramenti e, al tempo stesso, le variabili (di cui scriverò nel seguito) che potevano essere modificate per accelerare ancora di più il processo di miglioramento.

Il cuore di un metodo era nato, ma c’era ancora molto da fare….

 

Raffaele Tafanelli, Fisioterapista

 

Rispondi